"Non so bene perché, ma c'è qualcosa nell'orso che induce ad amarlo"
J. O. Curwood

martedì 23 settembre 2014

L’orso di Pettorano ucciso a fucilate e non solo...

Cari amici del blog dell’Orso Bruno, ci eravamo lasciati il 15 settembre con un post in cui preferivamo non azzardare ipotesi sulla morte dell’orso di Pettorano. Le cause, allora, erano ancora da accertare, ma è inutile negare che un po’ tutti avevamo il sentore che l’esemplare maschio di 3 anni trovato cadavere ai lati di una carrareccia ciclabile non fosse morto di morte naturale.

Nel frattempo i quotidiani locali continuavano a riportare, con cadenza giornaliera, di incursioni “sanguinarie” di orsi marsicani nei piccoli pollai di Pettorano sul Gizio. Chi teme per le sorti dell’orso in Abruzzo (e non solo) leggeva con sgomento gli articoli di chi, con poche righe, anziché difendere gli interessi sovraordinati di difesa dell’ambiente e della fauna protetta che l’orso incarna, preferiva difendere opportunisticamente gli interessi di una piccola categoria di persone che, pur avendo tutta la nostra comprensione, non rappresentano certo la collettività tutta.

Ovviamente, in una società prevalentemente urbanizzata come la nostra, non intendiamo emarginare chi, vivendo in aree naturali, si ritrova l’orso davanti casa, tutt’altro. È innegabile che gli orsi non devono avvicinarsi alle case e ai pollai. Questi comportamenti “problematici” sono, purtroppo, il risultato di processi di abituazione dei plantigradi a risorse alimentari “facili”. Favoriti dalla scarsa attenzione di noi umani ad alcuni buoni accorgimenti che si potrebbero riassumere nell’espressione “Vietato dare da mangiare agli animali selvatici”, vanno senz’altro contrastati, ma non con metodi illegali e irrazionali.

Peccato, però, che le soluzioni per dissuadere gli orsi in maniera pacifica e coerente con la legge e le politiche di conservazione della specie non catturino l’interesse di cronisti e lettori quanto i racconti da “Domenica del Corriere” di belve feroci che assaltano animali da cortile e umani di notte.
Nella storia dell’orso di Pettorano per fortuna sono intervenuti i fatti - più efficaci di mille parole! - a ristabilire la verità e a rendere onore al povero orso che, così pericoloso per l’incolumità dei residenti com’era tacciato, è stato l’unico a rimetterci la pelle, secondo un triste copione che si ripete, ormai, da secoli…

Il 16 settembre, l’Istituto Zooprofilattico di Grosseto rivelava le analisi necroscopiche sulla carcassa: l’orso era stato ucciso da colpi di arma da fuoco, per l’esattezza da quattro pallettoni per la caccia al cinghiale. Non solo, le analisi balistiche hanno rilevato che l’animale era stato colpito alle spalle.
La conferma dell’uccisione a fucilate di questo splendido esemplare di una specie gravemente minacciata di estinzione ha sortito reazioni di sdegno non solo in animalisti e ambientalisti, ma anche in chi possiede una coscienza civica e un senso innato di giustizia da ravvisare tutta l’assurda brutalità del gesto.

Caccia a chi, all'orso??
La stampa, purtroppo, non si è fermata nemmeno davanti alla conferma della morte per mano dell'uomo, continuando a parteggiare per la specie che acquista i giornali. Il cliente, in fondo, ha sempre ragione. Così l’orso da vittima torna a essere carnefice di galline e perturbatore della pace di tranquille contrade montane. Non solo, quando il 19 settembre il Corpo Forestale dello Stato, in seguito a indagini serrate, raccoglie la confessione di Antonio Centofanti che ammette di aver sparato all’orso, alcuni quotidiani cominciano a perorare la tesi innocentista del reo confesso, ovvero che costui abbia sparato per errore, cadendo. Occorre ricordare che Centofanti è lo stesso signore che aveva fatto scalpore sulle pagine dei quotidiani locali per essersi ferito in seguito a caduta perché spaventato dall’orso che, nottetempo, razziava le galline del suo pollaio. Il caso era servito ai cronisti – e probabilmente alla pancia, non alla testa, di una certa classe politica di cui si fanno portavoce - per rialzare il capo, scornato dopo il triste epilogo del tentativo di cattura di Daniza in Trentino.

È un evento storico: è la prima volta che nel nostro paese viene arrestato il responsabile della morte di un orso!

L'orso colpito a 30 m
Per fortuna, ancora una volta, le posizioni morbide dei giornalisti nei confronti del colpevole sono state smontate dai fatti. Gli esami balistici dimostrano che l’orso è stato colpito da una distanza di almeno 30 metri, dunque smentendo la tesi dell’incidente ventilata dal Centofanti.

La stampa ha dimostrato una volta ancora di non avere ben chiaro l’interesse supremo di tutelare una specie carismatica come l’orso, una specie dall’indiscussa valenza ecologica, culturale e storica per le comunità montane e non solo, ma sembra che non abbia chiaro nemmeno il più basilare principio di legalità, dal momento che l’orso è specie tutelata a livello nazionale ed europeo.

Tutta colpa di chi ama gli animali!
Dispiace leggere nero su bianco frasi gratuite e perentorie del tipo “[…] animalisti e ambientalisti… tutte quelle persone che amano gli animali ancor più degli uomini…”. A questi signori non passa mai per la mente che noi ci battiamo strenuamente proprio per non privare l’uomo della bellezza e della salubrità di vivere in un ambiente sano, dove la convivenza tra tutte gli esseri viventi, uomini compresi, dovrebbe essere possibile?


E poi cosa rischiano gli eco-malfattori in un paese come l’Italia, se chi dovrebbe fare cultura attraverso l’informazione non fa che mistificazione e demagogia sulla pelle di quell’orso che siamo noi tutti, lettori troppo spesso inconsapevoli??

lunedì 15 settembre 2014

Settimana nera per gli orsi in Italia

"La salvezza dell'Orso è la salvezza dell'Uomo"
(da L'Orso di Corrado Teofili)

Purtroppo, come avevamo fatalmente previsto nel nostro ultimo post, il tentativo di “rimozione” dall’habitat naturale della povera Daniza si è concluso l'11 settembre scorso con la sua morte. Una dose eccessiva del sedativo con cui i tecnici della Provincia di Trento avrebbero dovuto addormentarla è risultato fatale per l’orsa ritenuta pericolosa e, con tutta probabilità, per i suoi cuccioli dell’anno, ancora troppo piccoli per sopravvivere in natura senza le cure della madre.

Sulle pagine di molti quotidiani e sul web le reazioni sono state immediate. All’iniziale denuncia dell’opinione pubblica per la pessima gestione del “caso Daniza” da parte della Provincia di Trento è seguito il rigurgito da bestia antropocentrica di chi vuole trasformare la Legge del più forte in diritto, al punto da ricorrere ad assurde graduatorie del dolore e dello sgomento di fronte alle varie forme di barbarie, ponendo in competizione la barbarie dell’uomo sull’uomo con quella dell’uomo sulla bestia. È nostra convinzione che alla fine a perdere è sempre e comunque il genere umano con la sua proterva illusione di regolare il Creato. E abbiamo visto con quale esito tragico…

Titolo fuorviante sulla prima pagina del Messaggero del 15/09/14
Nei giorni in cui si parlava della caccia a Daniza, abbiamo letto con un certo orgoglio affermazioni che inneggiavano alla maggiore tolleranza della popolazione della nostra regione, l’Abruzzo, nei confronti dell’orso bruno. Ieri (12/09/14), invece, l’ennesimo brutto risveglio nella storia evolutiva, durata milioni di anni, della specie Ursus arctos in Italia con il ritrovamento del cadavere di un maschio di orso marsicano di 3 anni al lato di una strada di campagna nel comune di Pettorano sul Gizio (AQ). Le cause della morte sono ancora da accertare, ma anche se l’orso fosse morto per cause naturali – ce l’auguriamo! - sarebbe ingenuo ignorare il clima di terrore e intolleranza che alcuni quotidiani locali stanno montando da giorni riguardo alle incursioni di “orsi problematici” in alcuni piccoli allevamenti di Pettorano, all’unico fine, a nostro avviso, di lucrare sulla pelle dell’orso, facendo presa sulle ataviche paure e fantasie dei lettori in prevalenza di città. Oggi quelle stesse testate sono unanimi nell’esprimere il cordoglio per la morte dell’orso a Pettorano e riportano testimonianze tra la gente che, pur addolorata, ribadisce che l’orso lì, “alle porte di Sulmona” non deve starci “perché fuori dal suo habitat naturale”. Quale sarebbe l’habitat naturale dell’orso se non quello? La presenza della specie in questa fondamentale area di connessione tra il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise e il Parco Nazionale della Majella è dimostrata attraverso i secoli da molteplici testimonianze storiche. Non a caso il simbolo della locale riserva naturale “Monte Genzana-Alto Gizio è proprio l’orso!

Ciò evidenzia ancora una volta come l’orso sia simpatico a tutti finché non “invade” la sfera economica e sociale dell’uomo, finché si comporta da peluche immaginario e non da animale selvatico che vive, suo malgrado, in un territorio in cui l’uomo vuol farla sempre e comunque da padrone. E così si trasforma in un vicino scomodo di cui fare a meno, ricorrendo ad armi più o meno subdole, tra cui proprio quella divulgazione spiccia ed emozionale, senza il minimo approccio scientifico, improntata a puro sensazionalismo.

Questi giorni sono stati vissuti come un incubo per chi si ostina a credere che la convivenza tra uomo e grandi predatori sia una sfida che la civiltà umana, quella italiana in particolare, non può fallire, nel proprio interesse come parte - non competitore! - di una Natura sempre più sofferente.

Ringraziamo la Riserva Naturale Regionale Monte Genzana-Alto Gizio per la foto tratta dalla sua paginafacebook.

NB: Il titoletto nella pagina iniziale del Messaggero dell’Abruzzo di oggi (15/09/14) riporta una notizia errata: non è l’orso che ha ferito l’uomo, ma l’uomo che, trovandosi di fronte l’orso nei pressi di casa sua, si è ferito cadendo (dichiarazioni del malcapitato).