Cari amici del blog dell’Orso Bruno, ci eravamo lasciati il 15 settembre con un post in cui preferivamo non azzardare ipotesi sulla morte dell’orso di Pettorano. Le cause, allora, erano ancora da accertare, ma è inutile negare che un po’ tutti avevamo il sentore che l’esemplare maschio di 3 anni trovato cadavere ai lati di una carrareccia ciclabile non fosse morto di morte naturale.
Nel frattempo i quotidiani locali
continuavano a riportare, con cadenza giornaliera, di incursioni “sanguinarie”
di orsi marsicani nei piccoli pollai di Pettorano sul Gizio. Chi teme per le
sorti dell’orso in Abruzzo (e non solo) leggeva con sgomento gli articoli di
chi, con poche righe, anziché difendere gli interessi sovraordinati di difesa
dell’ambiente e della fauna protetta che l’orso incarna, preferiva difendere opportunisticamente
gli interessi di una piccola categoria di persone che, pur avendo tutta la
nostra comprensione, non rappresentano certo la collettività tutta.
Ovviamente, in una società prevalentemente
urbanizzata come la nostra, non intendiamo emarginare chi, vivendo in aree
naturali, si ritrova l’orso davanti casa, tutt’altro. È innegabile che gli orsi
non devono avvicinarsi alle case e ai pollai. Questi comportamenti “problematici”
sono, purtroppo, il risultato di processi di abituazione dei plantigradi a
risorse alimentari “facili”. Favoriti dalla scarsa attenzione di noi umani ad
alcuni buoni accorgimenti che si potrebbero riassumere nell’espressione “Vietato
dare da mangiare agli animali selvatici”, vanno senz’altro contrastati, ma non
con metodi illegali e irrazionali.
Peccato, però, che le soluzioni
per dissuadere gli orsi in maniera pacifica e coerente con la legge e le
politiche di conservazione della specie non catturino l’interesse di cronisti e
lettori quanto i racconti da “Domenica del Corriere” di belve feroci che assaltano animali da cortile e umani di notte.
Nella storia dell’orso di
Pettorano per fortuna sono intervenuti i fatti - più efficaci di mille parole!
- a ristabilire la verità e a rendere onore al povero orso che, così pericoloso
per l’incolumità dei residenti com’era tacciato, è stato l’unico a rimetterci
la pelle, secondo un triste copione che si ripete, ormai, da secoli…
Il 16 settembre, l’Istituto
Zooprofilattico di Grosseto rivelava le analisi necroscopiche sulla carcassa: l’orso
era stato ucciso da colpi di arma da fuoco, per l’esattezza da quattro pallettoni
per la caccia al cinghiale. Non solo, le analisi balistiche hanno rilevato che
l’animale era stato colpito alle spalle.
La conferma dell’uccisione a
fucilate di questo splendido esemplare di una specie gravemente minacciata di
estinzione ha sortito reazioni di sdegno non solo in animalisti e ambientalisti,
ma anche in chi possiede una coscienza civica e un senso innato di giustizia da
ravvisare tutta l’assurda brutalità del gesto.
Caccia a chi, all'orso?? |
La stampa, purtroppo, non si è
fermata nemmeno davanti alla conferma della morte per mano dell'uomo, continuando a parteggiare per la specie che acquista i giornali. Il cliente, in
fondo, ha sempre ragione. Così l’orso da vittima torna a essere carnefice
di galline e perturbatore della pace di tranquille contrade montane. Non solo,
quando il 19 settembre il Corpo Forestale dello Stato, in seguito a indagini
serrate, raccoglie la confessione di Antonio Centofanti che ammette di aver
sparato all’orso, alcuni quotidiani cominciano a perorare la tesi innocentista
del reo confesso, ovvero che costui abbia sparato per errore, cadendo. Occorre
ricordare che Centofanti è lo stesso signore che aveva fatto scalpore sulle
pagine dei quotidiani locali per essersi ferito in seguito a caduta perché
spaventato dall’orso che, nottetempo, razziava le galline del suo pollaio. Il
caso era servito ai cronisti – e probabilmente alla pancia, non alla testa,
di una certa classe politica di cui si fanno portavoce - per rialzare il capo,
scornato dopo il triste epilogo del tentativo di cattura di Daniza in Trentino.
È un evento storico: è la prima volta che nel nostro paese viene arrestato il responsabile della morte di un orso!
L'orso colpito a 30 m |
Per fortuna, ancora una volta, le
posizioni morbide dei giornalisti nei confronti del colpevole sono state
smontate dai fatti. Gli esami balistici dimostrano che l’orso è stato colpito
da una distanza di almeno 30 metri, dunque smentendo la tesi dell’incidente
ventilata dal Centofanti.
La stampa ha dimostrato una volta
ancora di non avere ben chiaro l’interesse supremo di tutelare una specie carismatica
come l’orso, una specie dall’indiscussa valenza ecologica, culturale e storica per
le comunità montane e non solo, ma sembra che non abbia chiaro nemmeno il più
basilare principio di legalità, dal momento che l’orso è specie tutelata a
livello nazionale ed europeo.
Tutta colpa di chi ama gli animali! |
Dispiace leggere nero su bianco
frasi gratuite e perentorie del tipo “[…] animalisti e ambientalisti… tutte
quelle persone che amano gli animali ancor più degli uomini…”. A questi signori
non passa mai per la mente che noi ci battiamo strenuamente proprio per non
privare l’uomo della bellezza e della salubrità di vivere in un ambiente sano,
dove la convivenza tra tutte gli esseri viventi, uomini compresi, dovrebbe
essere possibile?
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