"Non so bene perché, ma c'è qualcosa nell'orso che induce ad amarlo"
J. O. Curwood

domenica 13 agosto 2017

Un passo indietro


Le recenti interazioni tra uomini e orsi, sia in Trentino sia in Abruzzo, ci spingono a riprendere il tema della convivenza con questo animale unico, straordinario. L’oggettiva gravità dei due eventi, il ferimento di un pensionato in Trentino il 22 luglio e il 29 luglio l’ingresso di un orso marsicano in un’abitazione di Villavallelonga, in cui ha cercato riparo dopo esser stato allontanato da un pollaio, ci ha imposto una doverosa cautela, nel rispetto delle persone coinvolte. I fatti che hanno seguito alle prime ricostruzioni sembrano, però, confermare i nostri dubbi, specialmente per quanto riguarda il comportamento, definito aggressivo, dell’orsa con cuccioli KJ2 che, stando alle evidenze emerse il 1 agosto, non ha attaccato da tergo il pensionato, come si era affermato in un primo momento, ma ha reagito alle bastonate dell’uomo, spaventato dall'improvvisa comparsa dell’animale e dalla disputa tra questi e il suo cane.
A Villavallelonga, invece, l’orso si è introdotto nell’abitazione in cerca di una via di fuga, suscitando comprensibile spavento nei genitori con due bambini piccoli, svegliati dall’intrusione del plantigrado nel cuore della notte dall’esser costretti a calarsi in strada dal balcone. L’intervento tempestivo delle guardie del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise e, successivamente, del veterinario, ha consentito di restituire l’animale all’ambiente naturale, ma non ha attenuato le polemiche di parte della popolazione e del primo cittadino che invocano la rimozione dell’esemplare “problematico”, conosciuto con il nome di Mario.
In entrambi i casi è stato stigmatizzato il comportamento dell’orso, anziché porre la dovuta attenzione sull’impreparazione degli uomini. Per quanto riguarda il Trentino, la reazione dell’uomo alla vista dell’orso è stato il fattore scatenante dei morsi che lo avrebbero ferito (morsi che avrebbero potuto ucciderlo se l’orso ne avesse avuto l’intenzione). Nel caso dell’orso marsicano, invece, è stata verosimilmente l’abbondanza di risorse disponibili (scarti di cibo, piccoli allevamenti mal protetti, ecc.) ad attirarlo nei paesi della Vallelonga, in cui ha causato più di un centinaio di danni dall’autunno dell’anno scorso, determinandone il condizionamento alimentare. In entrambe le circostanze, la reazione preponderante da parte di cittadini e amministratori è stata quella di invocare la “rimozione” degli orsi, intesa come riduzione in cattività o soppressione, invece di riconoscere le umane responsabilità alla reazione di questi ultimi a contesti ambientali fortemente antropizzati. Preoccupa notare quanto sia basso il livello di accettazione dell’orso da parte delle comunità locali, così come appare dalle dichiarazioni di molti portatori di interesse, e la cronica incapacità di fare un passo indietro rispetto al “non umano”, ovvero ciò che è naturale e che sfugge al nostro controllo, al punto da instillare forti perplessità anche in alcuni addetti ai lavori sull’opportunità della reintroduzione degli orsi in Trentino. Allora torna particolarmente utile il ricorso a linee di demarcazione convenzionali tra ambiente antropico e ambiente naturale. Così, confrontandoci con i residenti di alcuni paesi nel territorio dell’orso marsicano spesso sentiamo ripetere questa frase: “L’orso deve fare l’orso e starsene in montagna. Un orso che scende in paese non è un orso!”.
Resta particolarmente difficile, in aree urbane circondate da monti e da ambienti adatti alla biologia della specie, tracciare un confine insormontabile tra ciò che appartiene all’uomo e ciò che appartiene all’orso. L’incontro tra il pensionato e KJ2 dimostra quanto questo confine sia particolarmente labile, quando si pretende di modificare il comportamento degli orsi anche nel loro ambiente naturale, anziché modificare quello degli uomini.
L’orso è al vertice della catena alimentare come l’uomo. Come noi è un onnivoro ed è caratterizzato da una spiccata intelligenza che gli consente di adattarsi alle situazioni ambientali traendone il massimo vantaggio. Nel rapporto costi-benefici, nutrirsi nei paesi conviene, anche se espone a dei rischi che, evidentemente, gli orsi trascurano, ovvero l’interazione con gli esseri umani. Questo non vuol dire che non ci sia cibo in montagna, come taluni continuano ad affermare, nonostante ricerche scientifiche sull’alimentazione dell’orso dimostrino esattamente il contrario, ma perché nei centri abitati le risorse alimentari sono maggiormente concentrate. La messa in sicurezza di orti e pollai, una corretta gestione dei rifiuti organici, l’eliminazione di fonti alimentari per animali d’affezione facilmente accessibili anche per i selvatici restano in assoluto, confrontandosi con le esperienze maturate in paesi con presenze di orsi maggiori del nostro, le migliori pratiche per ridurre, se non eliminare, i conflitti con la specie.
Perché allora tante resistenze all’applicazione di queste migliori pratiche? Come si può pretendere di impedire agli orsi di servirsi al “supermercato” che abbiamo preparato loro se non chiudiamo le saracinesche neanche di notte? Come possiamo pretendere di controllare le azioni di un animale selvatico così forte e intelligente se non siamo in grado di regolamentare noi stessi?
È proprio questo l’insegnamento che l’orso ci trasmette. L’orso mette a nudo tutti i nostri limiti, le nostre riserve mentali, la nostra pigrizia. La convivenza implica una volontà e uno sforzo. Appellarsi alla “rimozione” dell’orso, all'eliminazione del problema, è solo una scorciatoia.
Se non riconosciamo la necessità di compiere questo sforzo per il bene dell’orso, ma anche per il nostro, ecco spiegato perché continuiamo ad asfaltare i sentieri di montagna per percorrerli comodamente in automobile, perché tagliamo gli alberi a bordo strada anziché rispettare i limiti di velocità, lasciamo andare in rovina i monumenti e i siti archeologici del nostro Bel Paese, la cui gestione è così onerosa, per costruire centri commerciali al loro posto e trasformiamo i parchi nazionali in parchi gioco. Tendenze assurde di cui, purtroppo, complici ignoranza, pigrizia, grettezza e avidità diffuse, facciamo esperienza ogni giorno.
L’orso ci ricorda che dobbiamo proteggere adeguatamente orti e pollai perché non siamo i soli abitanti del pianeta (anche se di questo passo lo diventeremo). Ricorda agli amministratori che non si può accontentare tutti in cambio di voti, ma che talvolta si deve applicare la legge e chiudere i piccoli allevamenti abusivi, se non altro per il decoro urbano e per le prescrizioni sanitarie. Ricorda agli utenti della strada che la velocità può ucciderli insieme alla fauna che l’attraversa e agli escursionisti che la montagna non è soltanto loro.

Per tutte queste limitazioni della libertà individuale, l’orso continua a essere percepito più come un fastidio di cui fare a meno che come il simbolo di una natura ancora sana, con tutte le ricadute positive sull'economia locale che ciò implica. È ciò che avverrà finché noi umani non saremo in grado di fare un passo indietro, così come è consigliabile fare, appunto, quando si incontra un orso sulla propria strada.

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