Castelli, piccolo borgo alle falde del Gran Sasso, è famoso
in Italia e nel mondo per l’arte della ceramica. Ieri, durante una visita alla
collezione di preziose maioliche custodita nel museo Villa Urania di Pescara,
mi chiedevo se il simbolo vivente della Regione Abruzzo, l’orso bruno marsicano,
fosse sfuggito al genio dei maestri ceramisti dell’epoca (XVI-XVIII secolo).
La mia suggestione, forse indotta da dipinti di scene di
caccia al cinghiale, ha trovato conferma improvvisa: La caccia all’orso.
L’opera di Carlo Antonio Grue, risalente al 1670-73, si è materializzata
davanti ai miei occhi increduli.
La Caccia all'Orso |
La presenza stabile dell’orso sul massiccio del Gran Sasso è
stata accertata fino ai primi decenni del secolo scorso, finché l’esplosione
demografica del suo bellicoso vicino, l’uomo, e l’utilizzo sempre più diffuso
da parte di quest’ultimo di mezzi meccanici e tecnologici di dominio e
sfruttamento delle risorse naturali non lo hanno costretto a ripiegare negli
angoli più selvaggi della Marsica, in cui sarebbe sopravvissuto fino a oggi
grazie all’istituzione dell’allora Parco Nazionale d’Abruzzo.
Alla gioia per la “scoperta” di questa ulteriore testimonianza
storica della presenza dell’orso bruno marsicano sul Gran Sasso, d’auspicio alla
possibile ricostituzione di un nucleo stabile e riproduttivo, è subentrata la
coscienza amara del tributo di sangue che la specie ha versato nei secoli
all’invasore umano. Il dipinto del Grue trasmette la drammaticità della caccia,
la disperata opposizione della preda a cacciatori preponderanti in numero e
mezzi che, non ancora armati di archibugi, brandiscono delle lunghe lance per colpirla
prudentemente a distanza, mentre un mastino si avventa sull’animale per
fiaccarne la strenua resistenza. La sorte del “signore dei boschi” sembra
segnata.
Opera di Carlo Antonio Grue (1670-73) |
La diffusione di armi da fuoco sempre più precise e mortali
avrebbe ulteriormente spostato le sorti di analoghe battute di caccia a
vantaggio dell’uomo e l’orso sarebbe scomparso dalle montagne e dalle faggete che
si stendono sconfinate attorno a Castelli, lasciando oggi un vuoto
intermittente nella preziosa fauna del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti
della Laga. Intermittente perché qualche anno fa, l’esemplare Ulisse, un
giovane maschio in dispersione, è stato segnalato nel Parco fino ai Sibillini,
prima che l’assenza di femmine lo spingesse a rientrare nel territorio di
provenienza, l’odierno Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise.
L’eliminazione delle cause di morte riconducibili all’uomo nell’area
di maggiore concentrazione della specie e la corretta gestione delle zone
contigue sono condizioni essenziali per poter continuare a sperare nel ritorno dell’orso
sul massiccio più alto dell’Appennino, in un’epoca in cui progetti di
valorizzazione naturalistica e turistica dell’area dovrebbero scongiurare per
sempre il ripetersi di scene ferali come quella raffigurata su maiolica da
Carlo Antonio Grue.
Mario Cipollone
3 commenti:
sì, dal punto di vista storico artistico è interessante, ma dal punto di vista del nostro impatto sull'ambiente e sulle specie animali è un documento, oggi, triste.
A conferma di quanto da Te detto, infatti, la presenza dell'orso sulla catena del Gran Sasso nei tempi passati, in particolare sui versanti adriatici (oltre Castelli anche Farindola e dintorni) è testimoniata dall'esistenza in quei luoghi di "scuole di caccia all'orso" (Secoli XVI-XVIII), come ricordo di aver letto in alcune pubblicazioni WWF anni addietro. In quelle zone inoltre, non a caso, sono abbastanza diffusi cognomi come: "Dell'Orso, Ammazzalorso, ecc".
Saluti, Siro
Testimonianza interessante quella della maiolica, per tornare a orso e Gran Sasso ricordo che qualche anno fa passai una giornata sul Voltigno magnifico altipiano sopra Carpineto Nora dove l'inverno c'e' un anello per lo sci di fondo e dove uno dei gestori della capannina che e' li' anche d'estate mi disse di aver visto al tramonto un'orso passare al limite del bosco che incorona la piana ! Parlo di 7..8 anni fa.
Saluti
Marco
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