"Non so bene perché, ma c'è qualcosa nell'orso che induce ad amarlo"
J. O. Curwood

sabato 19 aprile 2014

L’insostenibile leggerezza dell’essere (umano)

Alpeggio in Abruzzo

Ieri (18 aprile 2014) il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise ha reso noto l’esito delle analisi sull’orsa rinvenuta agonizzante nei pressi di Sperone di Gioia dei Marsi lo scorso 14 marzo 2014 e poi morta mentre riceveva le cure del personale veterinario del parco. Secondo quanto accertato dall’istituto Zooprofilattico Sperimentale delle regioni Lazio e Toscana, le cause del decesso sono da attribuirsi a tubercolosi bovina. Le lesioni principali hanno interessato l’intestino facendo ipotizzare che l’orso si fosse nutrito della carcassa di una vacca morta di tubercolosi. Così un'altra preziosissima femmina all’inizio dell’età riproduttiva, dopo quella investita tra Villalago e Scanno qualche mese prima, è stata sottratta alla popolazione superstite di orso bruno marsicano dell’Appennino Centrale che conta, ormai, poche decine di esemplari.

Noi abbiamo sempre creduto che la salvaguardia dell’orso non fosse solo una battaglia per la protezione della natura, ma una vera e propria sfida di civiltà. Quale civiltà che si rispetti, quale democrazia europea, quale paese del mondo cosiddetto evoluto gestirebbe così maldestramente, con una tale colpevole leggerezza, un patrimonio collettivo così prezioso come l’orso, tutelato da leggi a livello nazionale ed europeo che sembrano così assurdamente difficili da applicare? Basterebbe il buon senso.
Nel 2012 un’epidemia di tubercolosi bovina aveva colpito una mandria di vacche proprio nella zona di Gioia dei Marsi. È stato appurato da inviati di Gaianews che i bovini messi in quarantena erano in realtà liberi e avevano accesso a un fontanile a cui continuava ad abbeverarsi anche la fauna selvatica.
Le autorità preposte a isolare il focolaio di tubercolosi - che non staremo qui a elencare, ma la cui responsabilità è evidente - hanno ritenuto quelle le misure necessarie e sufficienti per arginare un’epidemia potenzialmente funesta per il bestiame domestico, per la fauna selvatica (soprattutto l’orso) e la cittadinanza.
L’orsa è morta due anni dopo proprio di tubercolosi bovina e ciò dimostra che qualcuno non ha vigilato e che ha dormito sonni colpevolmente tranquilli perché tanto le cose da noi si aggiustano da sole o forse perché gli orsi esisteranno finché ci saranno le montagne.

Purtroppo il risveglio da questa tragica illusione è brutale e drammatico. I pericoli per la sopravvivenza dell’orso bruno marsicano nell’Appennino Centrale non sono diminuiti, tutt’altro, come dimostrano i decessi di quest’anno 2013-2014. La speranza di tutti è che cucciolate numerose rimpiazzino presto le perdite e che da oggi in avanti l’orso muoia soltanto di vecchiaia e cause naturali e non più per avvelenamenti, investimenti, fucilate e malattie portate dal bestiame domestico. Ne va della nostra reputazione di esseri pensanti e civili! Ne va della nostra stessa salute e sopravvivenza!