Altro che “condannato genetico”, come l’hanno definito alcuni studiosi. Il Dna del Panda è vivo e vegeto, e cerca di adattarsi ai cambiamenti ambientali come quello di tutti gli altri animali. Lo dimostra uno studio dell’università di Cardiff, pubblicato dalla rivista Molecular Biology and Evolution, che inchioda il genere umano alle sue responsabilità: la sopravvivenza di questo animale, concludono gli autori, dipende infatti solo dalle azioni dell’uomo.
I ricercatori inglesi, che hanno collaborato con l’accademia delle Scienze di Pechino, hanno analizzato campioni di sangue, tessuti e peli di 105 esemplari di panda giganti provenienti dalle sei principali aree dove ancora vivono questi animali.
«La nostra ricerca - spiega Michael Bruford, che ha coordinato lo studio - voleva verificare le teorie, basate sulle sue necessità alimentari e sugli scarsi tassi riproduttivi, secondo cui il panda gigante è in un “vicolo cieco” dal punto di vista evolutivo, e per cui inevitabilmente destinato ad estinguersi».
Per tirar fuori dal “vicolo cieco” i panda i ricercatori hanno studiato 655 basi in alcune porzioni del Dna mitocondriale e del nucleo, alla ricerca di mutazioni. Un alto indice di variazioni genetiche, infatti, può essere considerato l’indice di quanto l’animale stia cercando di adattarsi alle nuove situazioni ambientali.
«I nostri dati hanno rivelato una sorprendente variabilità genetica sia del Dna mitocondriale che del nucleo in almeno cinque popolazioni studiate - scrive Bruford nell’articolo - il cui livello può essere tranquillamente confrontato con quello delle altre specie di orso».
Secondo i ricercatori, precedenti studi avevano trovato una minore diversità genetica a causa sopratutto della scarsità di campioni utilizzati. La drastica diminuzione degli esemplari, invece, sembrerebbe non aver intaccato la possibilità di questi animali di adattarsi. Dai dati genetici è stato possibile risalire anche all’inizio del declino nel numero degli esemplari, che gli autori collocano molto prima della sua repentina accelerazione nella seconda metà del ventesimo secolo: «L’uso estensivo dell’agricoltura ha iniziato a minacciare l’habitat naturale dei panda già nel diciassettesimo secolo - spiega lo zoologo - da quell’epoca a oggi si è passati da 300mila chilometri quadrati totali a disposizione di questi animali a solo 22mila, con una diminuzione del 92%».
La conclusione dell’articolo, che tiene conto anche di alcuni esempi di ripopolamento andati a buon fine, è lapidaria: «Abbiamo dimostrato che l’ipotesi del “vicolo cieco genetico” è sbagliata - sostiene Bruford - e risulta chiaro dalla ricerca che la sofferenza demografica della specie è dovuta esclusivamente alle attività umane e al bracconaggio».
«La nostra ricerca - spiega Michael Bruford, che ha coordinato lo studio - voleva verificare le teorie, basate sulle sue necessità alimentari e sugli scarsi tassi riproduttivi, secondo cui il panda gigante è in un “vicolo cieco” dal punto di vista evolutivo, e per cui inevitabilmente destinato ad estinguersi».
Per tirar fuori dal “vicolo cieco” i panda i ricercatori hanno studiato 655 basi in alcune porzioni del Dna mitocondriale e del nucleo, alla ricerca di mutazioni. Un alto indice di variazioni genetiche, infatti, può essere considerato l’indice di quanto l’animale stia cercando di adattarsi alle nuove situazioni ambientali.
«I nostri dati hanno rivelato una sorprendente variabilità genetica sia del Dna mitocondriale che del nucleo in almeno cinque popolazioni studiate - scrive Bruford nell’articolo - il cui livello può essere tranquillamente confrontato con quello delle altre specie di orso».
Secondo i ricercatori, precedenti studi avevano trovato una minore diversità genetica a causa sopratutto della scarsità di campioni utilizzati. La drastica diminuzione degli esemplari, invece, sembrerebbe non aver intaccato la possibilità di questi animali di adattarsi. Dai dati genetici è stato possibile risalire anche all’inizio del declino nel numero degli esemplari, che gli autori collocano molto prima della sua repentina accelerazione nella seconda metà del ventesimo secolo: «L’uso estensivo dell’agricoltura ha iniziato a minacciare l’habitat naturale dei panda già nel diciassettesimo secolo - spiega lo zoologo - da quell’epoca a oggi si è passati da 300mila chilometri quadrati totali a disposizione di questi animali a solo 22mila, con una diminuzione del 92%».
La conclusione dell’articolo, che tiene conto anche di alcuni esempi di ripopolamento andati a buon fine, è lapidaria: «Abbiamo dimostrato che l’ipotesi del “vicolo cieco genetico” è sbagliata - sostiene Bruford - e risulta chiaro dalla ricerca che la sofferenza demografica della specie è dovuta esclusivamente alle attività umane e al bracconaggio».
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