Ieri pomeriggio nella sede del PNALM si è svolto un forum promosso dall’Ente, dal quotidiano Il Centro e dalla casa editrice Carsa.
L’allarme sul rischio estinzione dell’orso ha caratterizzato il dibattito per due motivi: primo l’autorevolezza della voce da cui arriva, il professor Boitani è considerato uno dei maggiori esperti nazionali per quanto riguarda gli orsi ed in particolare quello Marsicano. Secondo, i numeri che ha illustrato, testimoniano, se ancora vene fosse bisogno, la gravità di quanto è accaduto lo scorso autunno. Tre orsi uccisi col veleno, tra i quali una femmina in età riproduttiva, rappresentano l’8 per cento della popolazione complessiva. Che fare per evitare la catastrofe cui, altrimenti, appare destinata la specie dell’orso marsicano?
Boitani non ha dubbi. «Credo che sia finito il tempo dei compromessi. Se si vuole salvare l’orso, si deve avere anche il coraggio di scelte decise e costose sul piano dei consensi. D’altra parte con 40 orsi in vita c’è poco da dire, parlano i numeri».
La ricetta del professor Boitani punta a ricreare condizioni di vita più naturali possibili per i plantigradi, che vivono all’interno e tutt’intorno al Parco d’Abruzzo.
Tre sono le cose da fare subito senza perdere ulteriore tempo. «Prima di tutto dobbiamo ricondurre sotto controllo il disturbo antropico che viene arrecato agli orsi. In altri termini, in alcune zone delicate ci sono troppi turisti che si muovono in maniera incontrollata. Creando quel disturbo che contribuisce ad allontanare gli orsi dal loro territorio. Questo» sottolinea Boitani «non vuol dire meno turisti nel parco, ma solo che dovono muoversi in maniera guidata. Oggi invece avviene il contrario».
I pericoli maggiori arrivano per l’orso dalla stagione estiva, quella delle escursioni: «Crea meno problemi la stagione invernale, quella degli sciatori, perché in quel periodo gli orsi dormono». Osserva Boitani.
Secondo grosso problema: «La caccia nelle aree di periferiche del Parco. Devo dire che l’attività venatoria, in quanto tale, è compatibile con la presenza dei parchi, ma occorre che si regolata. Oggi il vero problema arriva proprio dalle battute di caccia al cinghiale, fatte in gruppo e con molti cani al seguito. Un tipo di battuta “la cinghialata” che crea un pesante disturbo».
Terzo problema, quello della zootecnia. Che negli ultimi 20 anni è cambiata in maniera radicale, rispetto alla secolare struttura dei pastori e delle greggi che convivevano perfettamente con orsi e lupi. «Oggi gli allevamenti di mucche e cavalli» osserva Boitani «hanno preso il posto di quelli delle pecore. La differenza della nuova zootecnia, rispetto ai vecchi allevamenti di pecore, è enorme: siamo passati dalla presenza quasi discreta dei pastori dietro le greggi, ad un tipo di allevamento che lascia animali liberi sul territorio, senza controllo, anche per diversi giorni. Assistiamo così a una presa arrogante del territorio da parte di questi nuovi allevatori. Anche qui occorre ricondurre il fenomeno dentro l’alveo e sotto il controllo degli organi preposti».
L’allarme sul rischio estinzione dell’orso ha caratterizzato il dibattito per due motivi: primo l’autorevolezza della voce da cui arriva, il professor Boitani è considerato uno dei maggiori esperti nazionali per quanto riguarda gli orsi ed in particolare quello Marsicano. Secondo, i numeri che ha illustrato, testimoniano, se ancora vene fosse bisogno, la gravità di quanto è accaduto lo scorso autunno. Tre orsi uccisi col veleno, tra i quali una femmina in età riproduttiva, rappresentano l’8 per cento della popolazione complessiva. Che fare per evitare la catastrofe cui, altrimenti, appare destinata la specie dell’orso marsicano?
Boitani non ha dubbi. «Credo che sia finito il tempo dei compromessi. Se si vuole salvare l’orso, si deve avere anche il coraggio di scelte decise e costose sul piano dei consensi. D’altra parte con 40 orsi in vita c’è poco da dire, parlano i numeri».
La ricetta del professor Boitani punta a ricreare condizioni di vita più naturali possibili per i plantigradi, che vivono all’interno e tutt’intorno al Parco d’Abruzzo.
Tre sono le cose da fare subito senza perdere ulteriore tempo. «Prima di tutto dobbiamo ricondurre sotto controllo il disturbo antropico che viene arrecato agli orsi. In altri termini, in alcune zone delicate ci sono troppi turisti che si muovono in maniera incontrollata. Creando quel disturbo che contribuisce ad allontanare gli orsi dal loro territorio. Questo» sottolinea Boitani «non vuol dire meno turisti nel parco, ma solo che dovono muoversi in maniera guidata. Oggi invece avviene il contrario».
I pericoli maggiori arrivano per l’orso dalla stagione estiva, quella delle escursioni: «Crea meno problemi la stagione invernale, quella degli sciatori, perché in quel periodo gli orsi dormono». Osserva Boitani.
Secondo grosso problema: «La caccia nelle aree di periferiche del Parco. Devo dire che l’attività venatoria, in quanto tale, è compatibile con la presenza dei parchi, ma occorre che si regolata. Oggi il vero problema arriva proprio dalle battute di caccia al cinghiale, fatte in gruppo e con molti cani al seguito. Un tipo di battuta “la cinghialata” che crea un pesante disturbo».
Terzo problema, quello della zootecnia. Che negli ultimi 20 anni è cambiata in maniera radicale, rispetto alla secolare struttura dei pastori e delle greggi che convivevano perfettamente con orsi e lupi. «Oggi gli allevamenti di mucche e cavalli» osserva Boitani «hanno preso il posto di quelli delle pecore. La differenza della nuova zootecnia, rispetto ai vecchi allevamenti di pecore, è enorme: siamo passati dalla presenza quasi discreta dei pastori dietro le greggi, ad un tipo di allevamento che lascia animali liberi sul territorio, senza controllo, anche per diversi giorni. Assistiamo così a una presa arrogante del territorio da parte di questi nuovi allevatori. Anche qui occorre ricondurre il fenomeno dentro l’alveo e sotto il controllo degli organi preposti».
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