"Non so bene perché, ma c'è qualcosa nell'orso che induce ad amarlo"
J. O. Curwood

mercoledì 27 giugno 2007

Io e l'orso

(racconto di Massimo Vettorazzi)

2 giugno 2003, foresta di Kocevje , Slovenia

Il temporale in lontananza fa sentire ancora i suoi brontolii e qualche lampo rischiara l’impenetrabile foresta; nelle zone libera da nuvole il cielo mostra la grandezza dell’universo, una civetta con il suo monotono richiamo annuncia che per gli uomini è giunto il momento di ritirarsi in baita.
Respiri affannosi, colpi di tosse, rumori di persone che si rigirano nel letto cercando la posizione giusta per far riposare le stanche membra e poi il temuto suono della sveglia che mi ridesta dai miei sogni e mi fa capire che per oggi il riposo è finito. Un rapido cenno di saluto al mio compagno di avventure, una vestizione rapida e silenziosa e in pochi minuti lasciamo la baita dove i nostri amici riposano ancora beatamente (e penso, ma chi me l’ha fatto fare?).
I prati sono ricoperti di rugiada, l’aria piacevolmente fresca sul nostro viso ci fa dimenticare ben presto il comodo giaciglio lasciato solo pochi minuti fa; il sole non si vede ancora, ma le poche nuvole arrossate indicano che un nuovo giorno sta per nascere e che si preannuncia sereno e caldo. Ci inerpichiamo verso la collina dietro la nostra baita, mentre i primi uccelli iniziano a cantare rompendo così il silenzio assoluto dell’immensa foresta. Giunti ad un bivio il mio amico propone di andare a destra, ma il posto mi “ispira” poco ed essendo davanti decido di non ascoltarlo e, in silenzio, continuo il mio cammino verso sinistra. Il sudore corre copioso sul viso, alla mia destra tra gli alberi si intravede la palla infuocata della stella che ci dà la vita, dietro percepisco la presenza del mio amico che diligentemente segue la sua guida e penso a quante albe e tramonti abbiamo passato insieme, quanti litigi ha innescato il mio riottoso amico .Penso a quante albe e tramonti abbiamo passato insieme, quanti futili litigi sono nati tra di noi, ma nonostante tutto siamo ancora qui a sbuffare e a condividere la stessa fatica alla ricerca del Signore della foresta, e credo che in fondo questa sia la cosa più importante.
Il silenzio è rotto solo da qualche ramo secco che si spezza sotto i nostri scarponi mentre procediamo verso la fine del sentiero; sulla nostra destra c’è una grande dolina ammantata di foglie cadute in autunni passati dai faggi centenari che la ricoprono, qua e là qualche raggio di sole riesce a penetrare il fitto fogliame e a riscaldare il suolo. Mi fermo di colpo così come il mio fidato secondo, il cuore si ferma, il respiro si fa affannoso: davanti a noi c’è un animale scuro che, sentendoci, comincia a scendere la dolina. Non dico niente, nessuno parla, penso subito ad un cinghiale, ma so già di cosa si tratta: l’animale sognato, l’animale ricercato, l’animale studiato sui libri, l’animale visto in numerosi documentari si trova lì, davanti a me, in carne ed ossa nel suo regno. Silenziosamente alzo il mio fedele e inseparabile Swarovski e lo porto agli occhi che cercano immediatamente e automaticamente l’agognata preda.
“Cristo di un dio, l’orso!” sono le parole tremanti e incredule del mio amico, che per un attimo avevo dimenticato immerso nelle mie emozioni, poi il “click” dell’otturatore della sua macchina, che scatta più per dovere e abitudine, che per rubare un’immagine: la foto più bella è impressa indelebilmente nei nostri cuori e nemmeno uno sviluppo fatto male potrà mai rovinarla! L’orso ha ormai raggiunto la fine della dolina ed è entrato nel prato, dove nell’unico spazio libero mi regala l’ultima emozione; il sole alle sue spalle irraggia il pelo color miele della groppa rendendo questo splendido animale ancora più affascinante, poi, come era apparso, svanisce nella fitta foresta lasciandoci soli ed increduli.
Ci voltiamo all’unisono e i nostri occhi si incontrano e capiamo che qualcosa si è compiuto, che quel giorno rimarrà tra i ricordi più belli della nostra vita, una stretta di mano, poi, suggella quella emozione e conclude una ricerca durata molti anni.
Ritornando alla baita vediamo anche un capriolo, ma ormai questo non aggiunge nulla a ciò che ho provato in quegli eterni venti secondi, sapendo già che mi aspetterà un’altra giornata di fatiche ma consapevole che ne è valsa veramente la pena.
Sulla via del ritorno, con uno zaino pesantissimo sulle spalle e con un dolore intenso e pungente che affligge i miei stanchi piedi, un pensiero, prima che la fatica offuschi definitivamente la mia mente, mi assilla: che anche gli altri compagni, che hanno condiviso questi giorni di fatiche, possano un giorno godere dello spettacolo e delle emozioni che solo l’incontro con l’orso può donare.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Grande Max!!!
Misty


ps: "e penso, ma chi me l’ha fatto fare?" classica frase da sveglia all'alba quando si va per i monti.. ma poi una volta lassù sai che hai fatto la scelta giusta ;)

Anonimo ha detto...

grazie Misty!

rileggendolo mi è venuta una voglia incredibile di partire alla sua ricerca... ho nel cassetto il sogno di andare in finlandia, alaska, kamchatka... ma mi basterebbe rivederlo nei miri (nostri!) boschi trentini!

ciao
Max

Giovanna ha detto...

a distanza di tre anni leggo il tuo racconto e, onestamente, ho un brivido. Provo sentimenti opposti:la Slovenia è a un passo da qui..,ma se poi veramente si fa vedere l'orso..? Quante volte abbiamo spiato le tracce cercando di capire se erano le sue o no,ma forse d'incontrarlo veramente, non ci abbiamo pensato mai. Bel racconto per un bell'incontro ! Giovanna