"Non so bene perché, ma c'è qualcosa nell'orso che induce ad amarlo"
J. O. Curwood

martedì 2 ottobre 2007

Affrontare i suoi problemi con l'uomo: ecco come salvare l'orso in Italia

Su Repubblica.it, un articolo di Piero Genovesi, Vice Presidente dell'International Association for Bear Research and Management

Come stanno gli orsi d'Italia? Tornati alla ribalta con l'abbattimento di "Bruno" lo scorso anno, la cattura di Jurka di questa primavera e - notizia di oggi - la morte di tre esemplari in Abruzzo, vale la pena fare il punto sulla situazione del più grande carnivoro che abita il nostro paese.
Nel futuro degli orsi ci sono molti chiari e molti scuri, ma tanto vale partire subito dalle brutte notizie. Per chi si occupa di conservazione degli orsi, il rinvenimento di tre carcasse in Abruzzo - tra le quali "Bernardo", un maschio di orso marsicano che negli ultimi anni si è avvicinato spesso ai paesi della zona - negli ultimi tre giorni, è infatti una notizia sconfortante. Anche perché - con i due cuccioli trovati morti pochi giorni fa - sono cinque gli animali perduti solo in questo ultimo mese.
Purtroppo ancora oggi - nonostante gli enormi progressi tecnologici di questi ultimi anni - non sappiamo esattamente quanti orsi ci sono in Abruzzo, ma si teme che il numero possa essere così basso (poche decine di animali), da collocare la popolazione molto vicino al baratro dell'estinzione. E con popolazioni così piccole, la perdita anche di pochi individui all'anno può avere effetti catastrofici. Gli orsi sono infatti animali poco prolifici (le femmine fanno da uno a tre cuccioli ogni due o tre anni), ed in natura le popolazioni persistono perché la mortalità degli adulti è bassissima, considerato che questi grandi carnivori non hanno praticamente nemici naturali. E infatti la mortalità degli orsi d'Abruzzo non ha nulla di naturale, visto che oltre il 75% degli 85 orsi trovati morti negli ultimi venti anni sono stati uccisi - intenzionalmente o accidentalmente - dall'uomo.
I motivi alla base di questa strage sono diversi. A volte gli orsi vengono uccisi per i danni che causano agli allevamenti o ai pollai, in altri casi ingoiano accidentalmente bocconi avvelenati messi da pastori e cacciatori per combattere il lupo o la volpe (come probabilmente nel caso degli ultimi tre animali morti), o muoiono investiti dai treni e dalle auto.
Per assicurare la sopravvivenza di questa popolazione - una delle ultime tre ultime di tutta l'Europa sud occidentale - occorre quindi affrontare subito le cause dei conflitti tra l'uomo e l'orso, prevenendo e compensando i danni fatti dagli orsi, valutando la necessità di regolamentare alcune forme di caccia, e proteggendo gli habitat più critici.
Per il futuro dell'orso marsicano c'è fortunatamente anche qualche buona notizia. Nel 2006 è stato infatti firmato un accordo tra tutti gli enti competenti per la conservazione dell'Orso (Ministero Ambiente, Regioni, Province, Corpo Forestale dello Stato, Università di Roma e Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica) che impegna tutti questi organismi a lavorare insieme per assicurare la tutela di questa popolazione minacciata. Speriamo che questo impegno - che vede in prima linea il Ministero dell'Ambiente, la Regione Abruzzo ed il Parco Nazionale d'Abruzzo - si traduca immediatamente in misure concrete per la protezione degli ultimi esemplari d'Abruzzo. E uno dei punti chiave di questo accordo è la realizzazione di una ricerca che chiarisca finalmente la consistenza di questa popolazione. Per questo obiettivo i ricercatori dell'Università di Roma "la Sapienza" hanno catturato oltre 16 orsi, dotandoli di un radiocollare per poterne seguire gli spostamenti. E indagini genetiche stanno portando a creare una banca dati di tutti gli individui, in modo da permettere un vero e proprio censimento degli animali. Speriamo che già nei prossimi mesi questi sforzi portino finalmente a capire meglio come intervenire per assicurare un futuro a questi plantigradi.
Ma se dall'Abruzzo arrivano brutte notizie, più incoraggiante è invece la situazione nelle Alpi, dove vive oggi - a cavallo tra Trentino, Alto Adige, Veneto e Lombardia - una popolazione di circa 25 orsi, frutto di un progetto di reintroduzione realizzato dal Parco Adamello Brenta, la Provincia Autonoma di Trento e l'Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica. Dal 1999, quando furono rilasciati i primi tre esemplari, provenienti dalla vicina Slovenia (dove vive una abbondante popolazione), sono stati liberati in tutto dieci animali dai quali sono nati oltre 24 cuccioli. Per assicurare una coesistenza pacifica tra l'orso e gli abitanti di questa regione, la Provincia di Trento ha messo in atto un'efficace politica di prevenzione e compensazione dei danni, monitoraggio degli animali, attivazione di squadre di emergenza addestrate ad intervenire nei casi più critici e trasparente informazione dei cittadini.
L'impegno della Provincia di Trento è stato particolarmente delicato nel caso dell'orsa Jurka. Questa femmina, rilasciata nel 2001, ha mostrato un comportamento particolarmente curioso e sfrontato, entrando spesso nei paesi della zona, ed in diversi casi sfondando addirittura la porta di alcune legnaie e malghe per cercare cibo. Dopo avere messo in atto tutti i possibili accorgimenti per correggere questo comportamento (come ad esempio cercando di spaventarla con proiettili di gomma quando si avvicinava ai paesi), quest'anno si è deciso di catturarla per metterla in cattività. Una scelta difficile e dolorosa, ma che almeno ha dimostrato che è possibile evitare soluzioni ancora più estreme, come quelle messe in atto in Germania lo scorso anno, quando proprio uno dei figli di Jurka è stato abbattuto per paura che potesse ferire qualcuno.
Un altro risultato importante per il futuro dell'orso nelle Alpi è che tutte le regioni dell'arco alpino hanno collaborato a realizzare un piano d'azione per l'orso bruno, che introduce un sistema analogo a quello trentino su tutte le Alpi centro orientali, dal Friuli fino alla Lombardia. E proprio oggi è in corso una riunione in Slovenia cui partecipano anche svizzeri, austriaci e sloveni, per arrivare ad una collaborazione anche al di fuori dei confini nazionali.
La necessità di affrontare la conservazione dell'Orso a scala sovranazionale è dimostrata dal caso del Friuli Venezia Giulia, periodicamente interessato dall'arrivo di orsi dalla Slovenia. Questa presenza dimostra come il destino di questi animali - che possono compiere spostamenti di molte centinaia di chilometri - richiede politiche coordinate a scala almeno nazionale, se non europea. Ma la buona notizia è che - anche grazie all'ingresso della Slovenia nell'Unione Europea - una collaborazione è possibile. Due degli orsi che frequentano le alpi friulane sono stati dotati di un radiocollare dai ricercatori dell'Università di Udine, in modo da poterli seguire e proteggerli più efficacemente.

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